sabato 8 novembre 2014

Orme sulla sabbia



di Loretta Bartolini
Rimini, 11.06.2011




Cara 4^ F, già da giorni mi circola intorno questa notizia della “sorpresa” -ancora misteriosa per me- che avete intenzione di farmi, e già da ora questo vostro pensiero mi intenerisce e mi commuove. Così gioco d’anticipo e, quando voi mi consegnerete il vostro pensiero, anch’io vi consegnerò il mio.
Tutta questa circolazione d’affetto reciproca è il segno più evidente del bel rapporto che si è creato tra noi, fatto di autenticità e schiettezza, spontaneità e naturalezza.
In una parola: nella mia ora ognuno è se stesso e lo può essere senza maschere perché, insieme, abbiamo imparato che l’importante è il rispetto reciproco: accettarsi e volersi bene per quello che si è, pregi e difetti compresi.


Cari ragazzi potrei confidarvi che da tempo lotto contro questo nemico subdolo, indolore ed invisibile che è il tumore al seno. E poiché nel luglio 2010 è tornato a farsi vivo, avevo -già in settembre- qualche timore che non sarei riuscita a finire l’anno scolastico in santa pace.
È stato già un bel successo per me essere arrivata a far lezione fino al 28 aprile (anche se, voi soprattutto, vi sarete certamente accorti che -alla 6^ ora- negli ultimi mesi avevo veramente le pile scariche).
Convivo ormai da anni in conflitto col mio fisico, che ogni tanto (per colpa della malattia) tradisce le intenzioni della mente e vanifica tutte le mie iniziative ed i miei progetti.
Eppure la malattia e questo corpo che hanno “messo il bastone tra le ruote” ai miei ingranaggi in piena corsa…mi hanno anche insegnato qualcosa:
1) la malattia mi ha insegnato che la salute è un bene fondamentale e che non bisognerebbe  abusarne mai, ma rispettarla come un dono che siamo chiamati ad amministrare al meglio, non a guastarla. Ogni sera, pregando, bisognerebbe ringraziare Dio per la salute di cui abbiamo goduto inconsapevolmente.
2) la malattia mi ha insegnato la pazienza: aspettare anche per ore il proprio turno nelle sale d’attesa di ambulatori ed ospedali; aspettare che passi la febbre o che faccia effetto un farmaco; trascorrere ore da soli nel letto; non poter fare ciò che si vuole.
3) la malattia mi ha insegnato la fiducia: io non vorrei fare una certa cura ma il medico la consiglia; io vorrei procedere in un modo e lui ne impone un altro. L’esperto è lui: è necessario imparare ad affidarsi [anche se, al tempo stesso, è bene studiare il proprio caso per non essere del tutto sprovveduti].
4) la malattia mi ha insegnato l’umiltà: mostrarsi agli altri -per forza di cose- pallidi e debilitati, deboli ed inermi; doversi fare servire perché senza forze; capire che non si è onnipotenti ma in balìa dei propri limiti umani …, fa mettere da parte ogni orgoglio inutile e ogni vanità. [anche se poi io non voglio mai cadere nella sciatteria e –anche se ho la febbre- cerco di alzarmi, vestirmi, essere presentabile].
5) la malattia mi ha insegnato la speranza: essa crea infatti speranza nelle persone ottimiste e rassegnazione in quelle pessimiste. Io appartengo al primo gruppo: ho tutta l’estate per combatterla. Per uno che ha la fede, inoltre, speranza è anche affidarsi a Dio, sapendo che Egli vuole solo il nostro bene. Questo provoca interiormente un atteggiamento di serena accettazione (che non è malinconica rassegnazione) che dà pace e manda via la disperazione.

Per i cristiani poi, paradossalmente, anche la sofferenza ed il dolore acquisiscono un risvolto positivo se si osserva la vicenda terrena di Gesù Cristo. Se Lui, che i cristiani credono Dio-fatto-uomonon ha voluto sfuggire alla sofferenza e – attraverso la Sua – ha voluto redimere l’umanità (cioè ne ha fatto uno strumento di salvezza stranissimo e misterioso) beh … allora, caspita … mi sono detta => la sofferenza non va vista né vissuta solo come maledizione.
A me Lui ha insegnato che la malattia si può «offrire» come una sorta di preghiera spirituale, come un sacrificio invisibile al posto di quello reale di animali sugli altari o di Isacco. Dio non vuole più quei sacrifici lì (infatti quello di Isacco l’ha sventato) ma desidera gesti d’amore verso di Lui e verso il prossimo.
Anche offrire una sofferenza, una gioia, un turbamento, un problema … può essere un gesto d’amore e di affidamento che dà un senso a ciò che si sta passando. E, ragazzi, quando le cose e le situazioni hanno un senso svanisce ogni paura e ci si ritrova pieni di forza, di coraggio e di speranza (tanto che la gente se ne meraviglia).
E anche questo non è merito mio: come dice la storiella che vi allego (molto famosa): “è Gesù che ti porta in braccio”.

Ho imparato che la malattia è come una spugna che lava via le cretinate superflue della vita a cui magari si dava troppa importanza e ci fa concentrare sul valore della salute, del tempo a disposizione e degli affetti veri.

Cari ragazzi e ragazze, una stima elevata ed un amore quasi materno mi legano a voi e questo è per me un forte stimolo per tornare a scuola a settembre, perché davvero desidero rivedervi tutti e ricominciare i nostri dibattiti su ogni tipo di argomento. Sarebbe un dispiacere perdervi di vista. Perciò lotterò per esserci, pimpante o deboluccia, tanto ho voi che correte per me: mi venite incontro, mi portate lo zaino, mi rimediate i giornali e mi andate a fare le fotocopie.

Scriverei per ore, ma non ho più parole per dire la riconoscenza che sento nel cuore per voi e perciò concludo con un semplice: GRAZIE ad ognuno di voi.

Un abbraccio, la prof.
Loretta  Bartolini

(Questo grazie, questo saluto e questo abbraccio comprendono nelle mie intenzioni e nel mio cuore anche gli alunni e le alunne che non frequentano l’ora di religione, e che infatti esercitano un loro diritto, che -indirettamente- richiama proprio a quell’essere se stessi ed a quel rispetto reciproco di cui parlavo prima. Questa lettera è anche per loro).





“Orme sulla sabbia”
“Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata. E per ogni giorno trascorso, apparivano sulla sabbia due orme: le mie e quelle del Signore. Ma proprio nei giorni più difficili della mia vita ho visto un’orma sola. Allora ho detto: “Signore, tu avevi promesso di starmi sempre accanto. Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?
E Lui mi ha risposto: “Figlio, tu lo sai che io ti amo e non ti ho abbandonato mai: i giorni nei quali c’è solo un’orma sulla sabbia, sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio”.                              (anonimo brasiliano)




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