sabato 4 ottobre 2014

Dietro le proteste di Hong Kong


manifestazioni di protesta nel centro di Hong Kong
“Circa il sessanta per cento del valore della Borsa di Hong Kong dipende da imprese cinesi. Il capitale cinese, quindi, ha un ruolo dominante nel nostro mercato finanziario. Il che significa che la borghesia della Cina continentale e gli interessi dei tycoon di Hong Kong coincidono. E quindi la gente sa benissimo che il nostro governo è colluso con il Partito comunista cinese e che l’attacco alle libertà di Hong Kong arriva da un’alleanza tra il governo autocratico cinese e il grande business locale”. Più semplice di così si muore. A spiegare questa liaison dangereuse tra un Partito che si dice comunista e il capitalismo deregolato del maggiore hub finanziario d’Oriente è Au Loong- Yu, hongkonghino al cento per cento, direttore di China Labour Net e da decenni attivista del movimento operaio locale; uno che ogni tanto prende l’aereo e va a qualche summit altermondista in giro per il mondo, scrive libri, saggi.

Nel variegato movimento Occupy, dove la leadership originaria è già stata scavalcata dall’attivismo degli studenti, non c’è solo la richiesta di una liberaldemocrazia compiuta. Quella è la base comune, il punto di partenza. Più nel profondo, c’è la paura che un legame sempre più stretto con la Cina amplifichi ulteriormente la diseguaglianza sociale in un paradiso del capitalismo realizzato che da sempre ha costruito le sue fortune sulla deregulation, la mancanza di freni. Il gruppo Left21, per esempio, nell’aderire a Occupy, ha specificato che Pechino ha ragione nel sostenere che la riforma elettorale per le elezioni del 2017 – l’oggetto del contendere di questi giorni – rispetta la Basic Law(costituzione) di Hong Kong. 

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