sabato 25 ottobre 2014

Il Partito della Nazione


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di Michele Petrino

L'ultima eccitante novità capace di appassionare anche i politologi più frigidi è certamente rappresentata dalla nuova definizione del PD come di un "Partito Nazione". Ovvero un partito talmente ampio da riuscire a includere sotto il proprio tetto tanto i fuoriusciti di SEL quanto quelli di Forza Civica, con la speranza - beninteso - di riuscire ad includere anche la dote elettorale di entrambi. A ben vedere non si tratta solo di un proposito, ma di un vero e proprio progetto politico di quelli che vorrebbe perseguire ogni "partito di governo" (terribile definizione che indica partiti che subordinano i propri contenuti alle idee e alle voglie degli elettori).
 Come era successo nel dopoguerra quando la situazione internazionale rendeva il PCI "inidoneo" a governare e lasciava il potere nelle mani della sola Democrazia Cristiana, oggi la tabula rasa lasciata dal ventennio berlusconiano nel campo della destra italiana crea le condizioni per consentire al PD di ambire a quel ruolo egemone e "pigliatutto" che fu della DC (decretando di fatto in questa maniera la fine del sistema bipartitico).Il "Partito della Nazione", dunque. 

Un coacervo di istanze senza identità accomunate dall'unico collante del carisma del leader. Un'accozzaglia di tessere in cui a mancare sembra essere proprio la politica che pare non voler più convincere nessuno con le proprie proposte, ma che sembra limitarsi ad offrire all'elettorato un prodotto vincente: un prisma sfaccettato in relazione al quale ognuno, ruotando opportunamente l'oggetto, potrà riconoscersi. Resta da chiedersi se un partito così inteso non porti definitivamente alla morte delle idee politiche in capo al cittadino che, privato del vitale rapporto di scambio uomo-partito, sarà portatore di niente se non della propria contingente convenienza personale, così come rimane difficile credere che potrà svilupparsi un vero senso di appartenenza nei confronti di un partito in cui la convivenza di anime così diverse non permette il formarsi di una idea di comunità e similitudine tra i militanti. Nè credo, infine, che vi siano i presupposti per la creazione di una nuova identità comune: ad esempio la famosa "Leopolda" con il suo mix tra cena elettorale, attività di lobbyng e workshop formativo aziendale non credo possa incidere in tal senso. Chiaramente mettere sotto lo stesso tetto persone che la pensano così diversamente tra loro non può avere che un unico obiettivo: vincere. Governare. Non importa come: ci sarà sempre tempo per reprimere il dissenso interno, intestandosi la proprietà della ragione sociale.
Ritengo che questa prospettiva unicamente vittoria-centrica sia qualcosa che sta uccidendo la politica. 
Venendo all'altro tema "caldo" degli ultimi giorni, ma certamente collegato a quello appena trattato, tocca parlare dell'annunciato "bonus bebè" da riconoscere alle mamme dei bambini nati a partire dal gennaio 2015.
Alcuni mesi fa, uno dei collaboratori di Renzi aveva annunciato che tra i temi oggetto di studio da parte del Partito Democratico vi era quello degli aiuti da riconoscere alle neo mamme e che al vaglio del partito vi erano due ipotesi: da un lato l'investimento in strutture pubbliche, quali asili nido, che fossero più efficienti ed accessibili alle finanze delle famiglie, dall'altro il riconoscimento di un aiuto economico individuale da riconoscersi direttamente alla neo-mamma. Adesso sappiamo dunque quale soluzione è stata scelta ma, tornando a quel momento in cui la scelta non si era ancora realizzata, mi sembra il caso di soffermarsi al bivio che tale momento rappresentava. A fronte di un problema sociale comune a qualunque forza politica (sia la destra che la sinistra dovrebbero occuparsi delle giovani mamme), la soluzione perseguita non può che rivelare l'orizzonte ideologico di chi compie la scelta. Se investo nelle strutture pubbliche compio una scelta decisamente diversa dal decidere di riconoscere un contributo economico alla singola mamma e la scelta tra le due opzioni è figlia di un preciso orientamento politico.  
Se è vero che l'uomo ha in se sia una componente individualistica e solitaria che una componente permeata da un naturale bisogno di socializzazione e condivisione delle proprie esperienze, è in questo dualismo che si muove da sempre la politica che deve scegliere quale strada perseguire: se quella che porta a un sistema preposto alla piena realizzazione dell'uomo da una prospettiva individuale o piuttosto a uno che mira ad una realizzazione dell'uomo in chiave solidale e collettiva.

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Ho sempre pensato che investire nel pubblico e nei servizi fosse la scelta migliore in quanto, oltre a soddisfare il bisogno contingente (ad esempio nel nostro caso l'aiuto alle mamme), risulta l'unica capace di creare un patto di fedeltà tra cittadino e collettività che innesta un circolo virtuoso di appartenenza e partecipazione. Della natura duale dell'uomo di cui sopra, tale sistema mi sembra coltivare ed incoraggiare la parte migliore che lo vede realizzarsi solo se pienamente immerso nella collettività in cui vive. 
Questa mi sembra debba essere la prospettiva che una forza di sinistra dovrebbe darsi. Predilire la realizzazione dell'individuo nella sua dimensione collettiva, piuttosto che preparare il terreno per la realizzazione di vincitori capaci di trionfare in una gara sociale che non può che presupporre l'esistenza di sconfitti. 
La differenza tra una forza politica e un'altra sta proprio nella prospettiva che quella forza persegue. 
Renzi ha di fatto scelto una soluzione non di sinistra certamente legittima e che mi sembra originata più che da motivazioni ideologiche, da mero calcolo elettorale: i precedenti "80 euro" gli sono valsi d'altronde il (quasi) clamoroso risultato elettorale delle europee. 
Certo, il ritornello del Renzi "non di sinistra" e "usurpatore del glorioso partito" ha già cominciato a stancare, così come la narrazione di un Renzi "carnefice della sinistra italiana".
Ma chi ha davvero bisogno della sinistra? Se ne sente davvero la mancanza? 
Del mero nome direi proprio di no, ma di una forza che proponga una realizzazione dell'uomo non su basi individualiste ma collettive e sociali, sì.

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