sabato 10 gennaio 2015

Tu chiamale se vuoi emozioni



Rispondo volentieri all’invito della Madre sr. Annamaria Rovelli che mi ha chiesto di scrivere qualche impressione sulla mattinata trascorsa a Coriano da tutto il corpo docenti delle scuole riminesi delle Maestre Pie dell’Addolorata.

Quella mattina del 12 settembre 2005 sono partita da casa con quaderni e penne perprendere appunti, convinta (per mia disinformazione) che a Coriano vi fosse un teologo, un sacerdote o un esperto di didattica che dovesse comunicare qualcosa di importante a noi insegnanti e dai quali apprendere verità profonde o utili consigli educativi.

La mia borsa con penne e fogli –però- è rimasta dimenticata in un angolino di un corridoio, perché questa volta si trattava di una giornata di spiritualità nello stile delle M.P.A. e sulle orme della beata Elisabetta Renzi.
Il percorso spirituale è stato organizzato e condotto molto bene da suor Annamaria Rovelli, cadenzato da preghiere, canti, soste nei luoghi più significativi di quella casa (ma tutto è significativo là dove la fondatrice ha vissuto per 35 anni!!) ed è culminato infine nella S. Messa.
E’ stato dunque un cammino simbolico per arrivare nel cuore della casa-madre, dove Elisabetta Renzi riposa così vicino al sacro Tabernacolo, all’Amato Gesù eucaristico.
Forse non a tutti i docenti la mattinata a Coriano ha sortito lo stesso effetto che ha provocato in me. Sarà perché il mio animo aveva bisogno di un momento di silenzio e di riflessione; sarà perché lo Spirito Santo invocato all’inizio ha davvero deciso di “infiammare il mio cuore”; sarà per l’emozione di trovarmi nei luoghi dove la beata Elisabetta ha vissuto (che non avevo mai visitato prima); sarà perché si percepiva la sua presenza…, quel che è certo è che alla fine di quell’incontro ho avvertito il mio cuore più contento, leggero e fiducioso.


Ho seguito le istruzioni di sr Annamaria Rovelli che ci raccomandava di lasciarci guidare dallo Spirito e di lasciarci prendere per mano dalla beata Elisabetta.
Cosicché, in quell’itinerario guidato, che è divenuto per me una sorta di mini-pellegrinaggio (dal cipresso, alla grande sala-museo, alla stanza da letto e fino alla cappella) tappa dopo tappa sentivo interiormente un crescendo di sensazioni: inquietudini di cui sbarazzarmi, necessità di confidare maggiormente in Dio e di aderire più fedelmente alla Sua volontà (spesso appannata, offuscata e soffocata dalla nostra vita egocentrica).
Sr. Rovelli ha saputo egregiamente condurre questo percorso spirituale, portando il mio cuore a vette inesplorate quando ha pronunciato la frase che maggiormente mi ha colpito: “Madre Elisabetta ha qualcosa da dirti. A ciascuno di voi lei ha qualcosa da dire. Girate la casa dovunque, sostate dove volete e chiedetele ciò che desiderate.
Anche qui ho seguito le istruzioni: ho iniziato a girovagare per la casa. Volevo un posto dove fossi solo io, ma tutte le stanze precedentemente visitate erano occupate da una o più persone.
Finché mi sono spinta fino al piano più alto ed ho visto il luogo che faceva per me: il terrazzo dove si stendono i panni.
I fogli portati per prendere appunti sono serviti nella funzione di cuscino e lì finalmente ho lasciato che il cuore sciogliesse le emozioni, la ragione sfogasse i suoi dubbi, l’animo meditasse.
Ma Madre Elisabetta non mi “parlava”.
“Beh –ho pensato- avrà bisogno certo di uno strumento umano per comunicarmi ciò che ha da dirmi”.
Ed ecco spuntare dalla borsa il libro di preghiere della Liturgia delle Ore, regalato ai docenti dalla preside (sr. Anna Maria Rossetti) qualche giorno prima.
Leggo il salmo 89 ed alcuni versetti mi colpiscono e mi emozionano di nuovo: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passano presto e noi ci dileguiamo. […] Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore. (…) Saziaci al mattino con la Tua Grazia: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni. (…) Rendici la gioia per i giorni di afflizione, per gli anni in cui abbiamo visto la sventura.
Il messaggio che ho colto è che, anche se l’onnipotenza di Dio è schiacciante per l’uomo (che in fondo –per quanto sia longevo- vive una vita di tribolazioni che sembra svanire come un soffio) tuttavia la Sua Grazia colma ogni nostra lacuna.
Questo dono generoso d’amore che è la Grazia divina (di cui abbiamo avuto testimonianza attraverso l’amore gratuito e assoluto di Cristo) scioglie ogni nostro umano appiglio, o pretesa, o ripicca e fa nascere in noi sentimenti di gratitudine e di umiltà.
“Contare ogni giorno che passa” ed offrirlo a Dio come un sacrificio sull’altare diventa allora dare un senso al tempo che passa.
Impiegare il tempo che passa a glorificare Dio in terra, anche attraverso il proprio lavoro quotidiano, anche quando esso non ci dà un riscontro immediato delle nostre fatiche, diventa l’unico vero scopo dell’esistenza umana. Per una insegnante di religione questo è molto evidente ogni giorno, perché per quanto ci si affanni a spiegare con mille metodi didattici la religione, gli studenti non mostrano di recepire nulla. Ed alla fine di ogni giornata di lavoro, io spesso ripeto col vangelo “…ho fatto quel che dovevo, sono un servo inutile.”
E dopo quella lettura, la beata Elisabetta mi ha parlato: “Umili sì dinanzi alla Sua onnipotenza, ma umiltà non equivale ad annullamento. Ognuno di noi conta tanto agli occhi di Dio. Tu non sei nulla, sei Qualcuno. Dio non ti ignora. Se tace non significa che per Lui non esisti. Tu per Lui non sei un nienteUmiltà è riconoscersi umanamente deboli e peccatori, ma non annichilimento della propria personalità. Non devi pretendere riscontri immediati: Dio ti ha mandato a seminare, ma sarà Lui a fare germogliare quando vorrà. Lui non ci giudicherà per ciò che abbiamo ottenuto, ma per ciò che abbiamo fatto.
Una folata di vento leggero mi ha confermato (uno psicologo direbbe “suggestionato”) nella convinzione che davvero il mio pensiero ha catturato e percepito il messaggio della fondatrice.
E l’eucarestia ricevuta nel luogo della sua sepoltura, con lei lì accanto, è divenuto un momento molto bello che ho vissuto con intensità.
A quella parte razionale di me, così scettica ed indecisa, che spessissimo fa da zavorra alla parte spirituale e le impedisce di “allenarsi a dovere”, oggi posso dire con le parole di una canzone di Lucio Battisti: “Capire tu non puoi, tu chiamale –se vuoi- emozioni…”.


Nessun commento:

Posta un commento