sabato 17 gennaio 2015

Una vacanza in Monastero


Quest’estate ho deciso di trascorrere qualche giorno di vacanza in un monastero di clausura. Pur essendoci l’imbarazzo della scelta, non ho voluto sceglierne uno a caso e così mi sono messa in contatto col monastero delle suore Clarisse di Perugia, dove vive da molti anni una nostra ex parrocchiana: Pasqualina Cavalli, oggi “suor Maria Chiara”.

  Il desiderio di trascorrere quattro o cinque giorni in un monastero non è dettato dalla moda del momento, né dalla curiosità, ma nasce dalla voglia di perfezionare la propria vita spirituale, cioè di intraprendere un cammino, una verifica di come siamo messi nel nostro rapporto con Dio.
  Perciò penso che prendere il monastero come un albergo, utilizzandolo come punto d’appoggio solo per mangiare e dormire non è l’approccio giusto: il monastero va vissuto lasciandosi guidare dai ritmi e dalle regole che lui stesso detta. Se si fa così, si torna a casa arricchiti spiritualmente.
  Le suore vanno avvisate telefonicamente anche solo una settimana prima e –se non hanno il “pienone”- mettono a disposizione la foresteria (che ha 13 posti letto, di cui uno esclusivo per i sacerdoti ospiti).      Subito ci si sente accolti e coccolati: sorrisi di benvenuto da tutte le suore che si fanno vedere da dietro la grata, e tante “coccole”: la tavola già apparecchiata solo per me, il cibo buono ed abbondante tutto per me passatomi attraverso la “ruota”, biscottini finali. Ci si sente a proprio agio.
  C’è la possibilità di parlare a lungo con suor Maria Chiara, e nel mio caso ha saputo mettere a fuoco, con dolcezza ed al tempo stesso fermezza, le zone opache e sfocate della mia fede, richiamando sempre alla grande lezione di San Francesco. [Il termine “Clarissa” deriva da “Clara”, cioè santa Chiara (in latino) che era la cugina del santo d’Assisi.].
  Si apprezza già subito questa felice anomalia rispetto al “nostro mondo”: lei non ha mai fretta, ti dedica tutto il tempo che serve, sta lì ad ascoltarti ed a parlarti, pazientemente risponde a dubbi e perplessità senza mai guardare l’orologio. Le suore sono maestre nella capacità di ascolto, e bravissime nel dare consigli che mirano a perfezionare la propria vita spirituale, il proprio modo di pregare ed il proprio atteggiamento nei confronti di Gesù, dei sacramenti, della Messa…
  È un’esperienza appagante e si ritorna a casa con una carica interiore che aiuta molto nell’affrontare meglio tutte le nostre fatiche quotidiane.


  Cosa ho imparato? Al monastero ho capito la bellezza del silenzio: ho imparato a stare in silenzio, ad apprezzare il silenzio, ad ascoltare la voce del cuore che emerge solo se si fa silenzio nei pensieri e nelle parole e solo se si acquieta l’agitazione interiore.
  Nel monastero c'è un silenzio particolare, perché si percepisce che è un luogo di pace. Attenzione: non è che ci sia sempre il silenzio. Il monastero è dentro le mura della città, a due passi dal centro e dal Duomo, in piena zona universitaria. Le casette adiacenti al monastero sono “tutte” affittate agli studenti ed a volte si sentono le loro musiche e le loro risate. Di giorno si sente qualche moto rumorosa che passa nei pressi o i rumori di un cantiere edile non lontano. Ma nella propria stanza  tutto tace. E quando si entra nella chiesetta sembra di entrare in un’oasi, il cui silenzio è impreziosito dai canti soavi delle suore nei momenti prestabiliti della giornata. (Lodi, ora terza, sesta, nona, vespri, ecc..).

 Al monastero ho imparato l’umiltà: parola che richiama allo stare coi piedi per terra (humus) e che invita a non insuperbirsi. Umiltà significa mettere il proprio “io” in secondo piano, e mettere Dio al primo posto: cioè assumere il Suo modo di ragionare come proprio e farsi obbedienti alla Sua volontà. Suor Maria Chiara ci consiglia di “lasciarsi guidare” da Cristo, imparando a capire ciò che ha da dirci meditando ogni giorno un breve brano della Bibbia, anche solo una frase. Umiltà vuol dire non condurre la mia vita solo dove voglio io, secondo i miei progetti, ma fidarsi dei progetti che Dio ha su di me. L’umiltà spiccia poi la si vive per forza, perché se ci sono altri ospiti e si cena insieme non bisogna sottrarsi ai lavori richiesti (apparecchiare, sparecchiare, lavare i piatti, pulire, spazzare, riordinare e servire a turno in tavola i commensali). Umiltà è servire in letizia: cioè dare agli altri quello che si è, offrire ciò che si sa fare senza vantarsene, solo per godere di avere accontentato qualcuno…con così poco.

  Al monastero si impara a pregare vedendo come pregano le suore.
La preghiera: che sia cantata o recitata, le suore hanno un ritmo lento, pieno di pause. E le pause obbligano a riflettere su quello che si è appena letto: dunque è una prima forma di meditazione. Chi arriva dalla frenesia del traffico, dallo spazientimento del cercare un parcheggio e dalla vita “normale” fuori di qui che è concitata..., tende ad andare veloce nella lettura di quelle preghiere (perlopiù salmi) e loro, quindi, ti costringono ad adattarti.  È un bel modo  per dire: “ehi! Rilassati, rallenta...”. Entrando nel loro ritmo sembra proprio di partecipare ad una armoniosa “danza” di voci, di intenzioni, di vibrazioni del cuore e di tensione dell'anima rivolta all'amato Gesù.
   È come quando vedi un cerchio di persone che si tengono per mano e fanno un girotondo attorno ad un bel fuoco: ad un certo punto qualcuno ti tende una mano e ti invita ad unirti al cerchio. Tu entri, tenendo per mano uno a destra ed uno a sinistra, e sei costretto ad adattarti ai passi che stanno facendo. All'inizio fatichi un po', cincischi e sbagli spesso, ma poi avverti di essere un tutt'uno con loro e ti concentri sul fuoco, che però -nel frattempo- non ha mai smesso di illuminarti.
  Anche la preghiera vuole i suoi ritmi: se abbiamo raggiunto la pace vera nel cuore, la preghiera sarà calma, dolce, assorta, ritmata con lentezza, soppesando col pensiero la profondità di ogni parola che si pronuncia. Il ghiaccio del nostro cuore così comincia a sciogliersi.

  Se si mantiene anche al ritorno a casa l’atteggiamento che si è assunto dentro quelle mura, se si cerca di non guardare troppa televisione e si prega di più, se si cerca nelle quotidiane vicende che ci capitano l’incontro con Gesù, quella pace che si respirava nel monastero ci continuerà ad accompagnare anche fuori. Davvero le suore di clausura sono delle dottoresse per lo spirito, che riescono a guarirti “dentro”!  

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