sabato 25 aprile 2015

Verginità - parte 2 -

di Michele Petrino

Il Partito non aveva perso tempo. All’indomani del rinnovamento della sua tessera, Edmondo De Amicis si era visto recapitare a casa un plico proveniente dall’ufficio Obiettivi Produttivi Personali. Nel plico si leggeva che il cittadino De Amicis veniva assegnato all’ufficio Gestione Immagini del Lazzaretto. Edmondo fece uno smorfia che voleva somigliare a un sorriso. L’aveva visto accadere molte volte, in passato quando era attivo e al servizio dell’Ordine: mandavano i sospetti in quell’ufficio, a gestire le foto più ripugnanti provenienti dal Lazzaretto, ottenendo con questa tacita minaccia, una obbedienza ancora più forte. Dunque era così che lo consideravano, un sospetto…La cosa non lo stupiva ovviamente, d’altronde fin dall’inizio della sua “conversione”, aveva attirato quel tipo di accuse. Andò con la memoria al tempo della sua conversione. Ricordò la difficoltà nel compiere quel doloroso passo, ma Isabella era stata chiara: aveva avuto informazioni precise circa l’imminente presa del potere del Partito dell’Ordine. Occorreva decidere cosa fare, se restare sulla barca che affondava o riciclarsi sostenitori dell’Ordine, finchè si era ancora in tempo.

Con Isabella aveva combattuto tante battaglie. Dai sit-in contro l’impianto dei chip mnemonici, che da decenni sollevava ormai polemiche e che anche la parte più moderata del partito d’opposizione aveva in passato votato, alle proteste contro la soppressione delle attività sessuali, giudicate ormai troppe rischiose, visto il proliferare delle malattie alla pelle e dell’apparato respiratorio. Con Isabella aveva fatto l’amore pubblicamente, in segno di protesta. Aveva consumato un amplesso, interrotto dalle guardie dell’allora governo di coalizione. Sui loro corpi nudi campeggiavano scritte che incitavano alla libertà, alla procreazione libera, all’abolizione dei chip e a tutte quelle libertà che all’epoca sembrava amputassero sempre più l’anima dell’uomo. Ma il tempo aveva dato ragione al Partito dell’Ordine. La gente era più felice e le elezioni non erano più nemmeno necessarie. Il partito d’opposizione si era sciolto, dietro la minaccia armata del Partito dell’Ordine, ma più ancora per via dell’emorragia di voti, che non ne giustificava più l’esistenza e così si era assopito e nessuno più compiva gesti clamorosi e un po’ folli come quello di accoppiarsi davanti la sede del governo. Non aveva mai davvero amato Isabella, nonostante una bellezza che non temeva confronti. Ma tra di loro c’era qualcosa di più forte, qualcosa che aveva a che fare con quello che avevano dentro e che li aveva portati ad essere gli unici che si erano detti disponibili per quella missione erotica e suicida. 

Veniva da ridere a ripensarci: combattere un sistema forte come quello dell’Ordine ed in procinto di diventare ancora più potente, con una scopata. Ma quando si è giovani ed idealisti non si pensa alle conseguenze del proprio comportamento. Non si immagina che i mesi di galera che ti aspettano possono rivelarsi un vero inferno. Che l’uomo che ha potere su un altro uomo si trasforma inevitabilmente in un animale sanguinario. Nel più terribile degli aguzzini. Non era stato facile resistere ai mesi passati in galera. A confortarlo non c’era neanche il pensiero di Isabella, che sapeva nelle sue stesse condizioni. Restava, come balsamo sulle ferite doloranti, il ricordo del corpo splendido della sua occasionale compagna. Un corpo che Isabella sapeva usare come un’arma. Perché se hai una bellezza come quella di Isabella, allora nessuno ti tiene troppo in una lurida cella, perché è uno spreco inaccettabile. Ed è allora che puoi far valere la tua arma, puoi sedurre chi vuoi ed avere accesso ad informazioni che possono salvarti la vita. A te e al tuo strano compagno di lotta, finito in prigione anche lui. Ed è allora che fai in tempo a scampare alla grande Epurazione. A quella grande deportazione che aveva visto la nascita del Lazzaretto e che ti vide impegnato in prima fila, tra i più accaniti sostenitori della giustezza di quel rimedio… perché devi farlo, devi esporti in prima persona… d’altronde tu sei il tipo che, appena qualche anno prima, si era fatto arrestare con il più ridicolo e poetico gesto di contestazione. Ma Edmondo seppe da subito che non sarebbe mai bastato nessun suo gesto. Nessuna sua prova di fede nella ideologia. Sentiva su di sé il marchio del sopravvissuto e dell’opportunista. Aveva almeno messo a tacere la sua coscienza. Adesso occorreva soltanto vivere e non sarebbe stato facile, in questo nuovo mondo. Ed invece non fu difficile, almeno per lui. Isabella fece la brutta fine che sapeva, ma la cosa era ascrivibile a demoni, che gli avevano sottratto la sua unica arma di potere e con i quali non era mai riuscita a fare i conti. Ed ora si trovava nel Lazzaretto. Quanto a lui… si era adattato, non c’era niente da dire. E probabilmente niente da vergognarsi. Come tutti si era adattato. Adattato a quella vita, a cui il se stesso di non troppi anni fa avrebbe sputato in faccia. Il ragazzo che era stato avrebbe provato vergogna di quelle giornate riempite a stento e che avevano come unico scopo l’appuntamento vuoto e impersonale con la donna del neo…con una sconosciuta. E adesso il Partito si faceva nuovamente vivo, ricordando a lui, che in fondo non era nessuno, di non aver dimenticato il suo passato e che, come sempre, lo sorvegliava. 

La sede dell’ufficio Gestione Immagini del Lazzaretto si trovava nel lato più esterno della città. Al di là del quale si estendeva la lunga striscia di terra, che faceva da anticamera al Lazzaretto stesso. Nessuno aveva mai visto il Lazzaretto, o almeno nessuno che poi era ritornato in città… A recarsi nel Lazzaretto erano solo gli Agenti preposti al controllo periodico della situazione sanitaria. Si doveva impedire che vi fossero evasioni e che fuoriusciti dal ghetto potessero infettare la società ordinata con malattie, disordini e paure. Non c’era più spazio per queste cose nel nuovo mondo. L’ufficio accolse Edmondo con il consueto aspetto asettico e formale di tutti gli edifici ristrutturati dopo la grande Epurazione. Un lungo corridoio, che sembrava amplificare oltremisura i passi di chi lo percorreva, portava dal largo ed imponente ingresso, dominato da decorazioni in marmo, all’ufficio dimesso, ma impeccabile, che già da una settimana occupava. Il lavoro era lento e lasciava molto tempo per pensare. Edmondo pensò a questo come a una sottile tortura impostagli dal Partito, ma scartò l’idea: non doveva avvertire il suo lavoro come una punizione. L’importante era crederci davvero e di conseguenza anche gli altri gli avrebbero creduto.

Si concentrò sullo schermo del terminale che aveva davanti. Con poche manovre poteva avere accesso alle immagini che quella settimana, erano state messe a disposizione delle testate giornalistiche, che avessero avuto bisogno di resoconti freschi dal Lazzaretto. Diverse riviste infatti si occupavano di aggiornare la cittadinanza sulle condizioni di vita nel Lazzaretto. D’altronde in città tutti avevano nel Lazzaretto almeno un conoscente, un familiare o un amico, che per quanto malati o ritenuti indegni di accedere alla società ordinata, restavano pur sempre delle persone cui dedicare di tanto in tanto qualche pensiero premuroso, magari preoccupato. Certo il quadro che veniva fuori da quelle immagini non era rassicurante, ma funzionava: alla vista di tanta sofferenza, di tale scempio, terribile ma necessario per la vita ordinata, la preoccupazione e l’apprensione per la fine ineluttabile dei propri cari lasciava il posto a uno strano senso di attaccamento alla vita, un senso di felicità per quello che ancora abbiamo e ancora non ci hanno tolto e questo rimpiazzava ogni idea di altro, lasciando il posto solo all’idea di sè. Edmondo scorse velocemente quelle foto. L’orrore che portavano con sé era differente da quello che tali immagini portavano con sé prima dell’avvento dell’Ordine. Prima di quel momento le immagini di quel tipo, i reportage di guerra, i resoconti di infezioni ed epidemie erano solo foto di luoghi lontani. Geograficamente o socialmente lontani. Erano solo qualcosa da guardare durante la cena. Adesso invece era diverso: quelle immagini esprimevano un orrore diverso, vicino, che poteva aggredire anche te, che però avevi uno scudo per difenderti: la vita ordinata, placida e senza scosse che il Partito ti proponeva come alternativa. Continuò a scorrere le foto nella speranza e nel timore di scorgere i suoi amici, i compagni di lotta, Isabella o forse…lei. Già, la sua compagna notturna, che mai avrebbe visto, né conosciuto perché nella nuova società l’amore è proibito, soprattutto per lui che, con i suoi precedenti, non avrebbe mai ottenuto il visto per il Matrimonio e la Procreazione. Però sperava davvero di non vedere la foto di quella donna tra le immagini che stavano scorrendogli davanti gli occhi. Lo sperava davvero anche se era difficile per lui escludere la sua presenza nel Lazzaretto: d’altronde non ne aveva mai visto il viso, solo lo splendido corpo. Sperava soltanto che fosse ancora viva, anche se sapeva che comunque l’idea di masturbarsi con l’immagine di una donna morta non lo avrebbe certo dissuaso dal farlo. 

<< Buonasera Signor De Amicis. Io sono l’agente Placido, preposto al controllo della Stampa Cittadina. Sarà con me che dovrà interfacciarsi per eventuali richieste cui non riuscirà a dare risposta, in base al manuale comportamentale fornitole.>> Edmondo si girò in direzione della voce e fu con sorpresa che vide davanti a se la figura di una donna molto bella, che sembrava racchiudere in sé tutte le virtù che il Partito proclamava aver portato nella società. Aveva un aspetto rigido, ma allo stesso tempo fresco, contro cui nulla poteva la divisa che portava. << Piacere. Io sono Edmondo De Amicis >> disse tendendo la mano. << Conosco il suo nome – replicò la donna, mentre ricambiava velocemente la stretta – ho letto la sua scheda e so che già da qualche giorno occupa questa mansione.>> Edmondo incassò il riferimento alla sua scheda, che voleva dire che conosceva la sua storia personale. Poco male: le cose era chiare fin dall’inizio. << Si, ho preso servizio in questo ufficio da una settimana…> << Il lavoro va bene?>> << Beh si, non ho avuto grossi problemi… Ci sono state alcune richieste, a cui ho risposto seguendo i parametri fissati nel manuale…>> In effetti a Edmondo sembrava che il lavoro che gli era stato affidato fosse un po’ troppo semplice, ma si spiegò che era dovuto al fatto che l’ufficio Obiettivi Produttivi Personali assegnava quel genere di lavori ai soggetti considerati poco ambiziosi o inadatti a fare carriera all’interno del Partito. Edmondo probabilmente era considerato tale e non c’era certo da meravigliarsene.

<< Sa in cosa consiste il suo lavoro? Non vorrei l’apparente semplicità delle operazioni concrete che svolge, la inducessero a sottovalutare l’importanza di questo ufficio…>> << Il mio lavoro consiste nel vagliare le richieste di televisioni e giornali, circa le immagini relative al Lazzaretto. Queste immagini sono suddivise in categorie cui corrispondono i diversi tipi di testate autorizzate alla stampa. “Vagliare le richieste” significa fornire ad ogni testata il tipo di immagini cui possono legittimamente avere accesso.>>.

<< Bene. Si rende conto che i parametri, che presiedono al vaglio, sono studiati attentamente da esperti e psicologi e che è dunque di vitale importanza che lei rispetti attentamente tali parametri, se non vuole vanificare il grande lavoro di questi esperti e recare danno alla popolazione?>> << Oh, certo! Me ne rendo pienamente conto!>> si affrettò a convenire Edmondo. Passarono alcuni istanti in cui i due parvero continuare a studiarsi. Poi la donna fece un gesto di saluto con il capo e attraversò la porta dell’ufficio. In quell’istante, sullo schermo del terminale, Edmondo vide comparire una strana richiesta proveniente dalla testata settimanale della città. La richiesta era firmata dal capo-redattore della rivista, tale Giancarlo Giannini.

La sera aveva avvolto il piccolo appartamento di Giancarlo Gianni. La luce flebile che veniva permessa dopo il coprifuoco pareva amplificare l’umore malinconico dell’uomo, che si trovava di fronte il suo quaderno. Quello che teneva nel primo cassetto in basso. Come sempre, la pagina bianca sembrava sfidarlo, ma stavolta forse sarebbe stato diverso. Stavolta Giancarlo Giannini aveva interrotto la visione del film prima del finale. Il fatto è che gli sembrava di ricordare come quella storia andasse a finire. Si rendeva conto dell’assurdità di una tale sensazione: il virus “Virginity” non lasciava scampo. Era una questione tecnica: ogni film aveva un suo codice e il virus non faceva altro che trovarlo e cancellarne il ricordo. Eppure vedendo quella coppia di poliziotti americani indaffarati a trovare l’efferato serial killer di turno sentiva qualcosa crescere dentro di se…forse una consapevolezza, forse la pallida ombra di un ricordo, sopravvissuto chissà come al trattamento del virus. Sii sentiva strano, in quanto che lui sapesse non era mai successa una cosa del genere. Un pensiero fugace si affacciò nella sua mente, che cominciò a pulsare febbrilmente. E se fosse una sua soluzione… e se stesso immaginando la fine di quel film… Anche quella era una cosa che l’uomo sembrava aver perso: un intelletto vivace, che cerca di scoprire i meccanismi narrativi prima che questi si svelino. Un intelletto agile, ucciso dal mancato allenamento, dalla pigrizia di una società che aveva abbandonato la creatività. Eppure qualcosa ancora si muoveva… 

Giancarlo Giannini aveva vinto la sua pigrizia e spento il televisore, in un gesto che si era dimostrato più difficile e faticoso di quanto avrebbe mai immaginato. Aspettò che arrivasse il coprifuoco e alla poca luce concessa, si mise davanti al suo quaderno. Cercò di immaginare cosa avrebbe potuto dire il personaggio del poliziotto nero a quello del poliziotto bianco… Frugò nella sua mente, ma questa sembrava non accorrere in suo aiuto, quando allora mise in bocca ai due personaggi il dialogo che aveva avuto quella mattina con l’Agente Placido. Lo scrisse senza cercare di ricordarlo nei particolari e alla fine ne trasformò l’ultima frase in modo di renderlo compatibile alla situazione che stava descrivendo. Si sentiva un po’ ridicolo, ma avvertiva o forse soltanto sperava, che dietro quell’immensa fatica, si trovasse la svolta che cercava. Stava creando qualcosa, non importava cosa… Quella sera nell’appartamento di Giancarlo Giannini, altre due vite fecero la sua apparizione. Due vite tenui e fragili, la cui storia prese forma faticosamente, facendosi largo tra le righe di una pagina bianca, tra le sinapsi avvizzite di un uomo che non si dava per vinto. La prima vita finì male: in una dimensione che non esisteva, se non nella mente di chi aveva scritto e di coloro che avrebbero mai letto, morì colpito a morte da una pistola, mentre il suo collega poliziotto, la seconda delle due vite che si animarono nell’appartamento di Giancarlo Giannini, avrebbe convissuto per sempre con il rimpianto di non averlo potuto salvare. La sera successiva Giancarlo Giannini sarebbe ritornato su quel film. Si sarebbe iniettato il virus, ma a metà della pellicola, ne avrebbe sospeso la visione, incuriosito da un personaggio secondario: quello della moglie del poliziotto bianco.

Era una donna fragile, stretta in una morsa di dubbi che la dilaniavano. Ne aveva viste di donne in quella stessa condizione e allora mise al servizio della sua pagina ormai non più bianca un po’ della sua esperienza, della sua empatia verso quelle creature così sole e delicate, come a volte possono essere le donne sofferenti. 

Avrebbe provato a tratteggiarne i caratteri, a far scoprire pian piano i meccanismi mentali che l’avrebbero spinta a compiere le scelte che lui gli avrebbe imposto, in una operazione adesso meno faticosa e che diventava riga dopo riga sempre più naturale, lasciando ormai dietro di sé l’assurdo ricordo di una società incapace di creare. Sentiva crescere dentro sé una potenza mai provata prima. Avvertiva, con una chiarezza disarmante, quella capacità di manipolare parole e di servirsene per creare interi universi, che mai avresti scorto in potenza nelle parole stesse. Adesso aggiungeva particolari vividi, adesso preferiva un’asciuttezza che avrebbe giovato alla scena, adesso sarebbe venuta la parte drammatica, quella che avrebbe lasciato il lettore in sospeso… l’aveva visto fare tante volte… e quasi si meravigliò come fosse stato possibile che l’uomo per tanto tempo avesse perso questa abitudine, che adesso gli appariva cosi propria dell’uomo. Una euforia leggera cominciò a dargli alla testa. Sentiva il proprio cervello lavorare a mille, sgranchire gambe che per troppo tempo erano state a riposo, ma che si dimostravano ancora pronte per l’uso. Sentì un calore irradiarsi anche nel ventre, quasi come se tra la creazione e l’eccitamento sessuale vi fosse una reazione. Poi ad un tratto sentì qualcosa spezzarsi in quella mente lanciata a folle velocità e si fermò di colpo. Ebbe solo il tempo di dare un ultima occhiata alla pagina colma di parole, di avvertire un lieve rivolo di sangue scendergli dal naso, quando poi perse i sensi, stramazzando contro il tavolo, macchiando di sangue il suo quaderno, unica prova che lui, Giancarlo Giannini, aveva infranto il tabù. Aveva creato.

L’indomani mattina, si ritrovò riverso sul tavolo. Guardò con apprensione i suoi occhiali, ma per fortuna questi non avevano riportato danni eccessivi. Cercò di ricordare cosa fosse successo la notte precedente, quando gli ritornarono alla memoria i momenti precedenti al black out che lo aveva ridotto in quelle condizioni. Aveva subito una specie di scarica elettrica al cervello. Come quando si prende la scossa toccando lo sportello della propria autovettura, solo che la scossa lui l’aveva avvertita dentro la sua mente, fulminea a tal punto che non aveva avuto nemmeno il tempo di urlare. Aveva ancora la mente annebbiata e, gli sembrava, dolorante, ma cominciò subito a fare delle ipotesi su quanto aveva subito. Probabilmente il chip che aveva piazzato nel cervello aveva registrato un’attività elettrica non conforme ai parametri che erano settati per tollerare e aveva reagito bloccando quell’attività fuori parametro. Non poteva essere altrimenti, se no la causa sarebbe stata da ricercare in una qualche malattia che riguardava il suo cervello. Certo non poteva escludere anche quest’ultima ipotesi, ma qualcosa gli diceva che era nel giusto quando incolpava il chip mnemonico…un qualcosa che aveva il volto e l’aspetto del suo vecchio amico Dino Buzzati. Il chip mnemonico era stato introdotto in un periodo precedente alla grande Epurazione le camere parlamentari avevano discusso a lungo sulla effettiva opportunità di inserire un chip capace di registrare la vita dei singoli soggetti. La misura era stata resa necessaria nel pacchetto anti-crimine, in modo tale che un sospetto avrebbe potuto sempre essere incastrato consultando la scheda che aveva impiantata nel cervello. Lo sfruttamento del virus “Virginity” era stata ovviamente faccenda successiva… 

Per la prima volta Giancarlo Giannini formulò un pensiero che accusava il Partito dell’Ordine e subito ne ebbe paura, chiedendosi se anch’esso non fosse stato registrato dentro il chip a futura memoria della procedura che lo avrebbe portato nel Lazzaretto. Scosse la testa quasi a voler scrollarsi di dosso quel pensiero terribile. Aveva dimostrato forza e coraggio, aveva vinto quel chip che dalla nascita aveva governato il suo cervello. Si trattava ora di lanciare un segnale e lui sapeva come fare. Gli sembrò quasi ovvia la prossima mossa da fare. Gli serviva solo la foto giusta. 

La porta dell’ufficio fu aperta con decisione, in un moto controllato appena un attimo prima che sfociasse in violenza. Ad apparire sull’uscio fu il viso dell’Agente Placido. Stringeva in mano una copia del settimanale, la cui copertina vedeva campeggiare l’articolo relativo alla manifestazione del Partito. Dalla sua espressione era vagamente intuibile una collera a stento trattenuta, forse grazie a un senso di sdegno per la condotta del cittadino Edmondo De Amicis. << Ha dato lei la foto che si trova a pagina 5? >> chiese a bruciapelo senza neanche salutare. Edmondo si girò con calma, sapeva che sarebbe arrivata entro la mattinata: agli agenti del Partito non è mai mancato il senso della puntualità. << Mi sembra una domanda inutile….Non sono forse io il funzionario preposto a tale compito?>> L’agente Placido trattenne a stento la collera per quel comportamento tanto strafottente e cercando di mantenere la calma proseguì a parlare: << Bene! E allora si rende conto della gravità delle sue azioni? Lei ha autorizzato l’utilizzo delle foto in archivio per un articolo che mette alla berlina il Partito e tutta la società ordinata! Non sa che è suo dovere leggere le cartelle dell’articolo che utilizzano la foto?>> L’agente Placido sentiva montare dentro sé una rabbia spropositata, che cercava di spiegare a se stessa come una reazione alla violazione del regolamento e dunque di tutto ciò in cui credeva, ma sentiva anche che quella spiegazione non era sufficiente. Prese la rivista, aperta sulla pagina incriminata e la sbattè violentemente sul tavolo, davanti al quale era seduto il cittadino De Amicis.

Prima di autorizzare l’utilizzo della foto, Edmondo aveva ovviamente letto l’articolo. Questo era firmato da tale Giancarlo Giannini. Non appena letto l’articolo, non era riuscito a trattenere un moto di divertimento. Quell’uomo doveva essere davvero un pazzo, visto che si stava impegnando in una attività da tempo dimenticata e velatamente proibita: quell’uomo stava osando fare della satira nella società ordinata, che aveva invece fatto della serietà e della media condotta acritica uno dei suoi cardini. Quel moto d’allegria che aveva sentito nascere spontaneamente dentro se, lo fece sentire bene. Sentì come se qualcosa che credeva di aver perso, fosse rinato o si fosse risvegliato dal lungo letargo, dando all’uomo un infinito piacere. Quel piacere puramente intellettuale di condividere una sagace affermazione, un arguzia che aggirava i problemi e si faceva scherno di essi. Sentì l’autore di quell’articolo vicino a sé, più di ogni persona avesse mai conosciuto. In un attimo aveva sentito quella stessa sintonia che non avvertiva dai tempi della sua militanza politica nel partito d’opposizione. Una strana eccitazione lo aveva allora invaso ed aveva letto e riletto più volte l’articolo, sempre più febbrilmente fino a quando non sentì una tremenda scossa, come se il suo cervello fosse attraversato da un violento flusso di corrente elettrica. Il dolore lo riportò con i piedi per terra e gli parve che quello che per un attimo aveva creduto finalmente rinato si fosse nuovamente assopito. Con gesto quasi automatico, aveva allora chiamato il numero dell’agente preposto alle situazioni che esulavano dai parametri regolati dal manuale. 

Aveva allora visto sul videofono comparire, vincendo le intermittenze brumose della sintonizzazione, il volto dell’Agente Violante Placido. Forse ancora preda della strana euforia che lo aveva colpito, sentiva come se i suoi sensi fossero sovraeccitati e in grado di cogliere messaggi normalmente invisibili alle sue percezioni e fu proprio in quello stato che vide apparire l’immagine di quella donna splendida, che disturbata nel suo appartamento aveva risposto, mentre indossava solo la maglietta d’ordinanza degli Agenti dell’Ordine. I suoi occhi scivolarono subito al collo nudo della donna e fu con una sorpresa che quasi lo tramortì che riconobbe il neo del Soggetto 24. La sorpresa fu tale che quasi non riuscì ad articolare nessuna frase di senso compiuto, poi si sforzò di riprendere le redini del suo essere e a mò di scusa disse alla donna che aveva sbagliato numero e che in realtà voleva chiamare un altro ufficio. La donna non si scompose e con un sorriso formale chiuse la comunicazione. Era rimasto a lungo a fissare lo schermo vuoto del videotelefono, quasi a volersi convincere che quanto aveva visto non avesse nessun valore, ma sapeva che stava semplicemente ingannando se stesso: non avrebbe mai potuto confondere quel neo, che gli aveva svelato quello che adesso si rendeva era stato sempre sotto i suoi occhi. Adesso gli sembrava di riconoscere nel profilo del Soggetto 24, quello dell’Agente Placido, così come adesso vedeva chiaramente combaciare la silhouette dei due soggetti. Si perse per un attimo in queste riflessioni, evitando di pensare a quali conseguenze avrebbe potuto portare per lui quella scoperta, ma fu con gesto quasi meccanico che allora avviò le operazione di autorizzazione al rilascio della foto, che gli era stata richiesta tra quelle messe a disposizione dal suo ufficio. 

Il settimanale continuava a fissarlo dal tavolo del suo ufficio. Il titolo dell’articolo recitava “I grandi meriti sportivi del Partito dell’Ordine” e fingeva di essere il resoconto della dimostrazione ginnica, che le giovani leve del partito ogni anno effettivamente eseguivano in coda al discorso dei segretari politici. La foto, che prendeva gran parte della pagina, mostrava un corpo vestito di abiti laceri e sporchi, in una posa che, orrenda a vedersi, ne faceva presumere una morte altrettanto terribile: gli arti superiori mostravano inclinazioni che i naturali snodi delle articolazioni umane non avrebbero mai permesso, mentre quelli inferiori erano scarnificati e piegati in una posa tale che i piedi adesso si trovavano all’altezza del volto dell’uomo. Un volto dominato da una espressione di sofferenza indicibile, rivelata da una bocca digrignante, sovrastata da due occhi sbarrati. L’occhio di Edmondo cadde sulla parte dell’articolo in cui l’autore Giancarlo Giannini lodava sia la capacità ginnica “dell’atleta” ritratto nella foto, sia il livello di snodabilità che solo una pratica seria e una continua cura del proprio corpo rendevano possibile. Il giornalista proseguiva lodando la plasticità del movimento, che nonostante impegnasse l’atleta in una posa difficile e complicata non perdeva di bellezza estetica, valore che da sempre il Partito dell’Ordine promuoveva. Un bello messo in risalto anche dal sorriso smagliante che la bocca dell’atleta formava, vincendo lo sforzo per l’esecuzione del difficile esercizio. Finì di leggere quelle frasi e per poco non gli scappò un sorriso ironico, che certo avrebbe fatto infuriare ancora di più la donna che aveva davanti.

L’agente Placido restava lì, in attesa di una risposta. Lo sguardo fermo, dava l’impressione che sarebbe potuta rimanere tutto il giorno in quella posa, in attesa di una spiegazione. Edmondo si decise a parlare: restare lì a guardare quella donna, non faceva che ricordargli la sua ossessione per il Soggetto 24. << Non vedo il problema, Agente. Si tratta chiaramente di uno scherzo, di un gioco. L’autore di questo articolo non voleva offendere nessuno. L’ho trovato divertente e l’ho autorizzato.>> L’agente Placido fissò sbalordita l’uomo che aveva davanti: semplicemente non riusciva a credere alle sue orecchie. << L’ha trovato divertente?! Tutto qui? E’ solo questo quello che ha da dire?>> 

Al cenno di assenso del suo interlocutore proseguì: << E invece no! Lei ha fatto molto di più: lei ha autorizzato una presa in giro nei confronti del Partito! E per questo la pagherà cara!>> << Suvvia! Non le sembra di esagerare … Cosa crede che i cittadini siano tutti degli idioti? Che non sanno distinguere uno scherzo intelligente? Cosa crede che da questo articolo scaturirà una rivolta del popolo che finalmente ha preso coscienza…>> << Si rende conto dell’opera compiuta dal Partito in questi anni? Si è guardato attorno? Se lo avesse fatto, forse si sarebbe accorto che sono sparite tutte quelle contraddizioni che rendevano il nostro Occidente un posto pericoloso e instabile. Lo capisce questo? Adesso abbiamo la stabilità, la pace e queste sono cose importanti, che vanno protette e non possiamo lasciare che un qualunque giornalista con nessun senso del rispetto, metta in ridicolo quanto creato dal Partito!>> << Ricordando a tutti che “quanto creato dal Partito” si regge su quel lager che è il Lazzaretto…>> Quell’ultima frase ebbe l’effetto di una secchiata. Entrambi gli interlocutori si fermarono: sembrava assurdo, ma era così! Quell’uomo stava contestando apertamente il Partito e lo faceva proprio davanti a un funzionario dello stesso. Edmondo restò in silenzio ad ascoltare l’eco che le sue parole avevano avuto. La donna fece altrettanto. Manteneva uno sguardo fisso, che non permetteva di immaginare quali pensieri stesse formulando. Poi senza dire nulla, girò su se stessa e abbandonò la stanza, lasciando Edmondo solo con le spettrali presenze che adesso affollavano i suo ufficio solitario.




continua.........

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