sabato 7 febbraio 2015

Azione popolare per il bene comune


Salvatore Settis, docente di Storia dell'Arte Antica, scuola Normale Superiore di Pisa
di Salvatore Settis

E’ necessario tornare all’idea che il bene comune ha un interesse superiore ad ogni altro interesse e tornare con convinzione al principio della pubblica utilità del patrimonio culturale.

Il bene comune è strettamente connesso al diritto romano: ovunque ci sia un conflitto fra l’interesse del singolo e quello della collettività, prevale l’interesse comune.

Ciò corrispondeva ad un’etica che non conosceva frontiere. Si generava allora un’etica condivisa, un sistema diffuso che veniva tramandato da una generazione all’altra. Ora siamo al tramonto dell’idea del bene comune. Che cosa vuol dire bene comune? Investire sul futuro, sapere che i giovani sono più importanti dei vecchi e quelli che devono ancora nascere più importanti dei giovani che già ci sono.


Dobbiamo ricordarci che la nostra Costituzione è un alto manifesto dei diritti che ci dovrebbe spingere ad agire in nome di un’etica pubblica. Vediamo spalancarsi un baratro davanti a cui siamo ciechi: fra i principi della Carta costituzionale e le pratiche di governo. Per questo dobbiamo attivare quella che chiamo “azione popolare”, in difesa dei diritti che erodono ogni giorno un pezzo della sovranità dei cittadini. E questi diritti riguardano anche il paesaggio in quanto bene comune. L’Italia ha con il proprio paesaggio un rapporto molto difficile. Per secoli siamo stati il “giardino d’Europa”, eppure ci si è accaniti sul paesaggio facendone scempio. Nel nostro Paese c’è il consumo di suolo più alto d’Europa. L’8% del nostro territorio è interamente coperto da infrastrutture, strade e spazi non usati (per capirci l’8% corrisponde alla superficie del Veneto). La dimensione del disastro non si coglie se non consideriamo che tutto ciò avviene in pianura padana, su uno dei suoli più fertili del mondo. Il suolo non respira più e perde le funzioni ecologiche e questa perdita è irreversibile. Il territorio ne risulta “fragilizzato” ed esposto al grave rischio di frane e smottamenti, per non parlare del territorio a rischio sismico, il 44%.

Da anni in Italia gira una menzogna secondo il quale l’unico motore dello sviluppo è l’edilizia. Siamo portatori di una cultura arcaica. Le mafie sono portatrici di questa cultura. Ci tappiamo gli occhi per non vedere che questa crisi che ci attanaglia è dovuta in parte alla mancanza di fantasia nel programmare il nostro sviluppo. Utilizziamo il territorio come fosse una cava. Oggi, solo per recuperare una dimensione che rivaluti l’importanza del bene comune e il suo interesse che prevale su quello del singolo, c’è bisogno di una lungimiranza bifronte. Lart.9 (tutela del paesaggio) e l’art.32 (diritto alla salute) della Costituzione, dicono in sostanza che la salvaguardia del paesaggio è in diretto collegamento con la salute, quindi con il nostro ambiente. Non possiamo bendarci gli occhi e non sapere che l’Italia è il terzo paese al mondo per evasione fiscale dopo Turchia e Messico. Nel 2012 non abbiamo pagato le tasse per 155 miliardi di euro. Come porre rimedio allora allo stato delle cose? Serve un’ azione popolare di cittadini per il bene comune, che pratichino una cittadinanza attiva e leggano la Costituzione, che è il primo manifesto, già scritto e pronto all’uso, per imporre un’agenda politica centrata sul bene comune.

In questo momento storico e pubblico serve infatti la sempre più attiva e concreta partecipazione di tutti alla cosa pubblica, una piena assunzione di responsabilità. In prima persona. Per riguadagnare sovranità riportando il bene comune al centro della politica è necessario fare centro sulla Costituzione e ricomporre in unità la società civile con i suoi movimenti e lo Stato con le sue istituzioni. Su questa strada sono egualmente vitali la responsabilità dei cittadini e la necessaria complementarietà e simmetria dei diritti e dei doveri. Non possiamo accontentarci dell’usuale insistenza sui diritti individuali, dobbiamo anzi ripensare la trama della Costituzione in termini collettivi, ricollocando i doveri al centro del discorso politico e intrecciandoli fortemente con la rivendicazione dei diritti non solo del singolo , ma della comunità. Dobbiamo costruire un diritto a partire dalla gamma dei doveri essenziali per il sopravvivere della comunità organizzata secondo una forte etica della responsabilità, in cui i diritti e doveri sono inseparabili, anzi il dovere è fondamento dei diritti.

E’ oggi il momento di una forte azione popolare per mirare al cuore della politica. E non per scalzarne i meccanismi bensì per correggerne l’agenda sulla base dell’interesse popolare.

Questo progetto non è impossibile se nel bene comune riconosciamo il fondamento della democrazia, dell’uguaglianza, della cultura, della libertà, per noi e per le generazioni future. Abbiamo bisogno, in Italia come altrove, di un nuovo spirito collettivo, che si riconosca nella giustizia, nei diritti, nella democrazia.

Salvatore Settis, docente di Storia dell’Arte Antica, Scuola Normale Superiore di Pisa.


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