sabato 20 settembre 2014

La monetizzazione dell'ovvio


libernazione.it
di Michele Petrino

Come ogni malanno di stagione, ecco ritornare puntuale sulla scena politica il dibattito sull'articolo 18. 
Che a questo giro di giostra a proporne l'abolizione (addirittura tramite decreto legge, si vocifera) sia addirittura il più importante partito di sinistra la dice lunga sui cambiamenti/snaturamenti che stanno interessando oggi la sinistra italiana ed europea (si vedano i casi di Valls e Miliband). 
Premetto che per me l'art. 18 non è né un tabù, né costituisce un totem (giusto per usare alcune delle espressioni con cui i sedicenti progressisti - che poi curiosamente hanno le stesse idee dei conclamati conservatori - usano per bollare quelli che nei confronti dell'art. 18 chiedono un atteggiamento cauto e rispettoso). Dunque non voglio scrivere un articolo pro-articolo 18 (o quanto meno non troppo pro-articolo 18...), né tirare in ballo le solite (sacrosante per carità) considerazioni sull'importanza del lavoro, sulla dignità del lavoratore, sul rischio di un precariato che da lavorativo è ormai divenuto esistenziale. Queste cose le sentite più o meno ogni giorno in televisione e il rischio, anzi, è proprio quello della desensibilizzazione al problema a causa dell'eccessiva sovraesposizione. 
La mia riflessione vorrebbe essere un po' più generale, rivolta per lo più a quello che in televisione e nei giornali sento dire sempre di meno. Come avrete letto, si intitola "la monetizzazione dell'ovvio". Riprendiamo da qui. 
Cos'è l'ovvio? Qualcosa di pacifico che non dà luogo a contestazione (ma esiste ancora questa categoria in un mondo così frenetico, dove persino la presunta democrazia del web si è involuta in una forma odiosa di superficialità di giudizio istantanea che rifugge qualsiasi approfondimento, oramai barattato con l'essenzialità dell'esserci?). Riportato - il concetto di "ovvio" - alla questione che ci occupa, potremmo dire che un licenziamento senza giusta causa è illegittimo e, pertanto, ingiusto. Sembrerebbe tutto ovvio, no? All'ingiusto, si dovrebbe contrapporre il giusto. 
Eppure gli annuali tentativi di modificare o addirittura abolire l'art. 18 dimenticano la dicotomia facile-facile del "giusto-ingiusto", inseguendo un modello in cui il licenziamento senza giusta causa, operato da un'impresa che adduce motivi economici rivelatisi poi infondati (ovvero falsi) nel corso dell'istruttoria giudiziale, non verrà rimosso, ma resterà operativo. Ovvero il lavoratore viene licenziato anche in presenza di una condotta scorretta da parte dell'azienda accertata giudizialmente. E' giusto, questo? La risposta, a mio modo di vedere (ma non sono più tanto sicuro, a questo punto) sembrerebbe ... ovvia. Certo al dipendente verrà riconosciuta la famosa indennità (sulla cui reale utilità ed equità all'interno della vita di un lavoratore preferisco non soffermarmi - ma sarebbe davvero necessario o dovrebbe rientrare nell'ovvio anche questo? - in quanto finirei per parlare dell'importanza del lavoro, della sua dignità, del contesto odierno di recessione e di tutti quegli argomenti che volevo, come dicevo prima, evitare di tirare in ballo), ovverosia gli verrà monetizzata l'ingiustizia che ha subito. 
L'ovvio verrà monetizzato. E ciò avverrà in una fattispecie in cui il ripristino in forma specifica (il reintegro) è ancora, oltre che possibile, eticamente dovuto. 
Questo punto mi sembra non sia mai davvero valorizzato nei vari dibattiti: si fa un gran parlare delle strategie politiche, delle alleanze, della necessità di operare ulteriore macelleria sociale (mentre il potere inteso come lobby e centro di influenza, continua indisturbato ad autogovernarsi, in modo da autoconservarsi), ma non si affronta la questione nel merito. Paradossalmente, proprio quella dell'ingiustizia del licenziamento. 
L'ultima riscrittura dell'art 18 operata dall'allora ministro Elsa Fornero ha già impoverito enormemente la norma (basti pensare che il reintegro è previsto solo per la fattispecie del licenziamento per motivi discriminatori, casistica invero alquanto limitata; mentre ad esempio per i falsi motivi disciplinari sarà il giudice a decidere tra indennità o reintegro). Adesso quale sarà la nuova deminutio che subirà questo baluardo dell'ovvio? L'introduzione nel dibattito dell'odioso concetto dell'apartheid applicato alle varie categorie di lavoratori e il clima da resa dei conti nei confronti dei sindacati non lascia ben sperare.
Lo stato sociale, grande conquista dell'Europa e motivo di vanto del vecchio continente, sta subendo un lento smantellamento pezzo per pezzo, mentre si profila sempre più un nuovo e inquietante dominio dei mercati e dei listini di borsa in danno della cosidetta economia reale. 
Tutto questo mentre occorrerebbe piuttosto ripensare gli equilibri sociali e le forme di redistribuzione della ricchezza, in modo da evitare la necessità di dover ricorrere a barbare soluzioni, indegne di un paese civile. 
Quale che siano le soluzioni che chi ci governa intenderà attuare, mi auguro che abbia sempre bene in mente il giusto e l'ingiusto. 






Nessun commento:

Posta un commento